giovedì 25 ottobre 2012

L'antinomismo post-conciliare rifiuta la metafisica e impedisce la riforma della Chiesa



Riportiamo l’intervento scritto di S. Em. R. Card. Raymond Leo Burke, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, alla quinta Sessione dei Circoli Minori del Sinodo dei Vescovi (23 ottobre 2012).


«L’Instrumentum laboris ci ricorda che la testimonianza della fede cristiana è una risposta sommamente adeguata ai problemi esistenziali, specialmente perché tale testimonianza supera la falsa frattura esistente tra il Vangelo e la vita (cfr. n° 118). Ma, perché abbia luogo la testimonianza della fede, di cui il mondo oggi ha urgente bisogno, all’interno della Chiesa si richiede la coerenza tra la vita e la fede.
Tra le più gravi ferite della società di oggi si rileva nella cultura giuridica il distacco dalla sua radice obiettiva ovvero metafisica, che è la legge morale. In questi ultimi tempi questo distacco si è di molto accentuato, manifestandosi come un vero antinomismo, che pretende di rendere legali azioni intrinsecamente cattive, come l’aborto procurato, il concepimento artificiale della vita umana allo scopo di procedere a sperimentazioni sulla vita dell’embrione umano, la cosiddetta eutanasia di coloro che godono del diritto preferenziale alla nostra assistenza, il riconoscimento legale delle unioni di persone dello stesso sesso equiparate al matrimonio, e la negazione del diritto fondamentale della coscienza e della libertà religiosa.
L’antinomismo affermatosi nella società civile purtroppo ha contagiato nel post-Concilio anche la vita ecclesiale, associandosi malauguratamente alle cosiddette novità culturali. L’euforia postconciliare, tesa all’instaurazione di una Chiesa nuova all’insegna di libertà e amore, ha favorito fortemente un’attitudine di indifferenza verso la disciplina della Chiesa, se non addirittura una ostilità.
Pertanto la riforma della vita ecclesiale auspicata dai Padri Conciliari è stata in certo senso impedita, se non tradita. Dediti alla odierna nuova evangelizzazione, abbiamo il compito di porre a fondamento la conoscenza della tradizione disciplinare della Chiesa e il rispetto del diritto nella Chiesa. La cura della disciplina della Chiesa non equivale ad una concezione contraria alla missione della Chiesa nel mondo, ma è una giusta attenzione per poter testimoniare coerentemente la fede nel mondo.
Il servizio, umile certamente, del Diritto Canonico nella Chiesa è anche del tutto necessario. Come potremmo infatti testimoniare la fede nel mondo qualora ignorassimo o trascurassimo le esigenze della giustizia nella Chiesa? La salvezza delle anime, fine principale della nuova evangelizzazione, deve anche essere sempre nella Chiesa “la legge suprema”» (can. 1752).

Quel pezzo che manca al discorso di Don A. Jacopozzi



Riprendiamo due interventi del Prof Pietro De Marco (nella foto), docente all'Università di Firenze e alla Facoltà Teologica dell'Italia Centrale, a proposito delle recenti dichiarazioni di Don Alfredo Jacopozzi, circa il mistero della Chiesa e il problema della divisione dei cristiani. Don Jacopozzi liquidava su "Toscana Oggi" del 7 ottobre 2012  la critica del p. Lanzetta dicendo che con i tradizionalisti non si può discutere. Il problema non è il tradizionalismo ma la retta fede, ricevuta dagli Apostoli. Che oggi è in crisi. 


Concilio e anno della fede. Un confronto grave in cui evitare scorrettezze
(su L'Occidentale)

Un amico, sacerdote e teologo, colta intelligenza che ha per questo particolari responsabilità, interviene su un settimanale cattolico regionale. Il tema è il Concilio, la vera Chiesa e la resistenza degli ambienti ‘tradizionalistici’ (non scismatici) all’ecumenismo conciliare e postconciliare. Dopo aver ricordato la ‘scaletta di argomenti’ dettata dopo trent’anni dall’enciclica Ut unum sint (ovvero De oecumenico officio del 25 aprile 1995, Enchiridion Vaticanum 14, 2667-2884), il teologo si spinge ad affermare che per i critici (tradizionalistici) “tutto ciò [ossia le linee proposte dall’Enciclica per favorire e guidare il dialogo ecumenico pdm] è immanentismo, antropocentrismo, irenismo ecc.”. Per concludere, dopo aver menzionato con riprovazione mons. Brunero Gherardini: “Ma con chi considera il Vaticano II un equivoco e un colpo di mano contro la Tradizione, qualsiasi confronto è del tutto impossibile”.
Appare qui una semplificazione inaccettabile, anche (o tanto più) se in buona fede. Osservo due cose. La prima. Nessun esponente della teologia cattolica che continua a fondarsi anzitutto sulla Tradizione cronologicamente ‘preconciliare’ (che è la Tradizione cattolica tout court), considera immanentismo o ‘deriva modernistica’ un ecumenismo cattolico che dichiari (come fa la Ut unum sint di Giovanni Paolo II) irrinunciabili: il legame necessario tra Scrittura e Tradizione, l’Eucarestia come memoria sacrificale e presenza reale di Cristo, il sacramento dell’Ordine, il Magistero, la Vergine Maria Madre di Dio. Tutt’altro! Altra cosa è temere che, come conseguenza di decenni di ‘dialogo’ senza regole (che provocarono la UUS e molti altri interventi disciplinanti di Roma), proprio questi dati primi e vitali della realtà e della dottrina cristiana, vengano diluiti e vanificati.
La seconda, più importante. Dove trovare, allora, “immanentismo, antropocentrismo, irenismo”, che non sono né invenzioni di Gherardini o di Antonio Livi, e dei loro splendidi, coraggiosi libri[1]? Si trovano nel soggetto assente dal ragionamento dell’amico teologo, cioè nella cultura e nella pratica ‘ecumenica’ che non si riconobbero, né prima né dopo la UUS, in alcuno dei punti fermi dell’Enciclica.
La dimostrazione, prima che nei libri, è sotto i nostri occhi. La manierata evocazione del Vangelo, in scrittori e scrittrici di cose ecclesiali e spirituali, che sulla stampa e nell’editoria cattolica passano per ‘teologi’, non fa mai menzione significativa della Tradizione. Per l’Eucaristia circola quasi ovunque il superficiale verbiage della mensa e del mangiare insieme, contro la dimensione sacrificale e contro (più o meno consapevolmente) la Presenza reale. L’Ordine sacro è declassato quanto a sacralità e a peculiarità ontologica, ed è schiacciato sulle sue funzioni ‘umane’. Il Magistero è ignorato nella sostanza, tollerato ‘per obbedienza’. La Vergine Maria è presente dove la personale devozione lo chiede al singolo sacerdote, o a qualche teologo, ma non appartiene all’impalcatura della fede (se qualche ‘impalcatura’ vi è ancora) che essi trasmettono.

Aggiungo: in tale movimento (anzi: smottamento) indotto dall’intelligencija ecclesiale che si richiama allo ‘spirito’ del Concilio, non sorprende che l’ecumenismo sia oggi infine poco praticato, poiché nell’ordine della dottrina della fede siamo molto al di là, in termini di dissoluzione dogmatica, di ciò che la tradizione protestante non secolaristica, per non dire l’Ortodossia, credono ancora. In termini storici siamo nella somma o confusione di terreni ereticali secolari. Modernismo, in senso tecnico.
Questo quadro, che corrisponde ad una parte non piccola della cultura clericale e laicale, è, appunto, la parte mancante nel ragionamento dell’amico teologo. Qui vi è, certamente, immanentismo e il resto, e questo, non l’ecumenismo del Concilio e dei papi (non giochiamo, anzi non bariamo!), è il bersaglio dei ‘conservatori’; in realtà di quanti ritengono che ‘eredità’ o ‘spirito’ del Concilio vadano sottoposti, finalmente, a discernimento storico e teologico rigorosi, poiché attraverso il pretesto, e la falsificazione, del Concilio come ‘novità’ è filtrato e filtra il peggio. Va denunciata la tattica disonesta, già attiva nell’opinione pubblica ecclesiale, di presentare l’Anno della fede, e le celebrazioni del Cinquantenario dell’inizio del Vaticano II, come l’occasione per colpire i critici ‘tradizionalisti’ del Concilio.
La congiunzione dei due momenti, voluta da papa Benedetto, varrà a rendere consapevole il popolo cristiano, anzitutto, di quanto (per dono di Dio) la fede viva ancora in lui, ed anche di quanto il patrimonio della Fede sia stato sconciato da utopismi e da dilettantismi. I ‘passionari’ del Concilio si chiedano, piuttosto, con serietà, in cosa credano oggi sotto l’abusivo richiamo al Concilio; e anche da quanto non leggano integralmente una Costituzione conciliare. Se in una sede di studio prestigiosa, a Roma, in un convegno di e per ‘teologhe’ ci si può domandare, tra salotto e comizio: ‘In fondo, chi esercita il Magistero nella Chiesa e a che diritto?’; se, in Italia, un parroco (uno?) può somministrare l’eucaristia ‘in memoria di Cristo’ (invece di dire: ‘il corpo di Cristo’), o nella chiesa di qualche convento importante i comunicandi si servono da soli come ad uno snack bar, questo non è uno scherzo: presuppone già o implicherà presto la negazione di tutti i punti fermi della UUS (inclusa Maria mater Dei) a vantaggio del più banale, nichilistico, ‘cristianesimo’ postmoderno.
Dunque, se qualcuno ha l’ardine di osservare che la ‘spinta ecumenica’, messa nelle mani dell’intelligencija teologica, ha favorito la liquidificazione della fede cattolica, non ha torto; lo si può dimostrare con analisi testuali. Ma non è l’ecumenismo in gioco. Cattolici e protestanti rischiamo, a livelli diversi di gravità, ben altro: il magma dell’indistinzione senza dottrina né chiesa. I ‘lefevriani’ sono l’ultimo dei problemi per l’Anno della Fede.

P. De Marco





[1] Di mons. Brunero Gherardini, figura storica della teologia italiana, ricordo almeno Quod et tradidi vobis. La tradizione vita e giovinezza della Chiesa, Casa Mariana Ed., 2010; di mons. Antonio Livi, decano della Facoltà di Filosofia dell’Università Lateranense, Vera e falsa teologia, Leonardo da Vinci Ed., 2011.


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L’anno della fede, il Concilio  e i loro ‘nemici’
(su "Toscana Oggi" del 21 ottobre 2012) 


Nella risposta di don Alfredo Jacopozzi (TO, 7 ottobre 2012, p.16), un amico, e una colta intelligenza che ha per questo particolari responsabilità, colgo un passaggio e dei protagonisti mancanti. Senza questa integrazione quello che scrive sarebbe francamente fuorviante. 
Dopo aver ricordato la ‘scaletta di argomenti’ dettata dall’enciclica Ut unum sint (ovvero De oecumenico officio del 25 aprile 1995, EV 14, 2667-2884), afferma che per i critici, tra i quali anche il p.Serafino M. Lanzetta, ‘tutto ciò [ovvero le istanze proposte dall’Enciclica per favorire e guidare l’ecumenismo pdm] è immanentismo, antropocentrismo, irenismo ecc.”. Per concludere, dopo aver menzionato anche Brunero Gherardini: “Ma con chi considera il Vaticano II un equivoco e un colpo di mano contro la Tradizione, qualsiasi confronto è del tutto impossibile”.
Osservo almeno due cose. La prima. Nessuno degli interlocutori, come nessun esponente della teologia cattolica che continua coerentemente a fondarsi sulla Tradizione cronologicamente ‘preconciliare’ (la Tradizione cattolica tout court), considera ‘deriva modernistica’ o simili un ecumenismo che dichiara irrinunciabili il legame necessario Scrittura-Tradizione, l’Eucarestia memoria sacrificale e presenza reale del Cristo, il sacramento dell’Ordine, il Magistero, la vergine Maria, Madre di Dio. Tutt’altro! 
Altra cosa è temere a buon diritto che, come conseguenza di decenni di ‘dialogo’ senza regole (che provocarono la UUS e molto altro impegno disciplinante di Roma), questi dati primi e vitali della realtà e della dottrina cristiana, vengano diluiti e vanificati. 
La seconda. Dove trovare, allora, “immanentismo, antropocentrismo, irenismo”, che non sono invenzioni di mons. Gherardini o di mons. Livi, e dei loro splendidi, coraggiosi libri, né del fine p. Lanzetta, né mie (si tratta di una diagnosi che, da storico delle idee, mi è agevole) ? Si trovano nel soggetto assente cui alludevo, cioè nella cultura teologica e pastorale, e nella pratica ‘ecumenica’ (ma si tratta di molto di più) che non riconoscono, né prima né dopo la UUS, alcuno dei dettati della ‘scaletta’. 
In effetti. La manierata evocazione dei Vangeli, in scrittori e scrittrici di cose ecclesiali e spirituali che sulla stampa e nell’editoria cattolica passano per ‘teologi’, non fa mai ricorso significativo alla Tradizione. Per l’Eucaristia vale troppo spesso un diffuso e superficiale verbiage della mensa e del mangiare insieme, contro la dimensione sacrificale e (più o meno consapevolmente) la Presenza reale. L’Ordine sacro è ridimensionato quanto a sacralità, a peculiarità ontologica, e schiacciato sulle sue funzioni ‘umane’. Il Magistero è ignorato nella sostanza, tollerato ‘per obbedienza’. La Vergine Maria è presente solo dove la devozione lo chiede al singolo sacerdote o a qualche teologo, ma non appartiene all’impalcatura della fede (se qualche ‘impalcatura’ vi è ancora) che trasmettono. 
Questo quadro mediano è, appunto, la parte mancante nel ragionamento di Jacopozzi. Lì vi è, certamente, “immanentismo” e il resto. Questo, non l’ecumenismo del Concilio e di Roma, è il bersaglio di coloro che ritengono, meditatamente, che eredità o spirito del Concilio vadano sottoposti, finalmente, a discernimento storico e teologico rigorosi, poiché attraverso il pretesto, e la falsificazione, del Concilio come ‘novità’ è filtrato e filtra il peggio per la Fede. 
Chi, oggi, ha l’ardine di osservare che anche la ‘spinta ecumenica’ ha favorito, nelle mani dell’intelligencija teologica, la liquidificazione della fede cattolica, non ha torto; si può dimostrare con analisi testuali. Ma non è l’ecumenismo in gioco; rischiamo, cattolici e protestanti, a livelli diversi di gravità, altro: il magma dell’indistinzione senza dottrina né chiesa. I ‘lefevriani’ sono, per l’Anno della fede, l’ultimo dei problemi.

P. De Marco

mercoledì 24 ottobre 2012

P. Lanzetta: ricollocare il Vaticano II nella Chiesa (prima parte)




(di Mauro Faverzani su www.conciliovaticanosecondo.it) 

“Ciò che occorre oggi è lo sforzo di ricollocare il Concilio Vaticano II nella Chiesa”: ad affermarlo, è Padre Serafino Lanzetta (nella foto), docente di Teologia Dogmatica presso il Seminario Teologico “Immacolata Mediatrice” dei Francescani dell’Immacolata ed autore del libro “Iuxta modum”, dedicato a questo tema. Lo fa in questa ampia intervista (di cui pubblichiamo ora la prima parte), concessa a Mauro Faverzani.Padre Lanzetta evidenzia le luci e le ombre del Vaticano II, sottolineando l’importanza in un periodo -quale il nostro- di crisi della fede di non limitarsi ad una semplice “commemorazione” del Concilio, bensì di recuperarne l’interpretazione più autentica



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