sabato 25 agosto 2012

L'evoluzionismo modernista. Una sintesi del Convegno di Cremona su P. Tomas Tyn





Lo scorso 9 giugno si tenne a Cremona un convegno su P. Tomas Tyn e l'evoluzionismo modernista. Intervennero P. Giovanni Cavalcoli e P. Serafino M. Lanzetta. Moderava l'incontro il Dott. Mauro Faverzani, che in sintesi ora ci descrive l'evento e le relazioni.



Parlare di evoluzionismo modernista può spaventare il pubblico meno avvezzo a masticar temi filosofici, ma quando è Padre Tomas Tyn a spiegare, anche concetti in apparenza difficili diventano, in realtà, abbordabili. La riprova si è avuta lo scorso 9 giugno a Cremona in Cascina Moreni, sede del convegno promosso dal Gruppo Laico Canossiano “Giuseppina Ghisi”, dal Centro di Solidarietà “Il Ponte” e dal locale Centro Culturale “Padre Tomas Tyn”, D’eccezione i relatori: Padre Giovanni Cavalcoli, Vicepostulatore della causa di beatificazione di Padre Tyn e docente emerito di Teologia Sistematica alla Facoltà Teologica di Bologna, e Padre Serafino M. Lanzetta, docente di Teologia Dogmatica presso l'Istituto Teologico “Immacolata Mediatrice”.


Da sinistra: P. Serafino M. Lanzetta, P. Giovanni Cavalcoli e il Dott. Mauro Faverzani

Della critica mossa da Padre Tomas Tyn all'idealismo panteista si è occupato nello specifico Padre Cavalcoli, che ebbe modo di conoscere personalmente questo suo Confratello di origine cecoslovacca, oggi in odore di santità. Appartennero entrambi alla stessa comunità domenicana, quella di Bologna, dal 1972 al 1990: 

“La parola modernismo è nota in relazione alla famosa enciclica «Pascendi» di San Pio X -ha spiegato Padre Cavalcoli- ma ad esempio già il Maritain nel 1966, nel suo famoso libro «Le paysan de la Garonne», segnalava con arguzia un ritorno di tale concezione. Egli ebbe anzi a dire che il modernismo dell'epoca di San Pio X sarebbe stato un piccolo raffreddore in confronto alla polmonite del modernismo di oggi”

Il termine «modernismo» significa 'fare della modernità un assoluto', un idolo, senza esercitare su di esso alcun senso critico, alcun discernimento: 

Cartesio, Kant, Hegel, lontani dall'esser ortodossi -ha proseguito l'illustre relatore- sono sullo sfondo di larga parte del modo di pensare di oggi, anche nella Chiesa, negli Istituti educativi superiori tanto quanto nelle Università Pontificie. E lo dico con sofferenza. C'è chi ritiene per questo che si sia giunti all'apostasia finale. No, il Signore non abbandona, abbiamo tanti soccorsi, però è bene tenere gli occhi aperti. Perché il rimedio c'è ed è quello di seguire il Santo Padre, di seguire il Magistero, il Catechismo, nonché di dare una retta interpretazione del Concilio Vaticano II”. Padre Tyn osservò come in Cartesio persista l'istanza idealistica. Scrisse Tyn: ”Di fatto non viene negata la consistenza obiettiva e reale dell'ente, ma avviene qualcosa di più significativo e, ci sia permesso di dire, di più grave. Anziché fondare l'idea della sostanza sulla sua realtà, al contrario l'obiettività viene dedotta dalla rappresentazione soggettiva, chiara e distinta che la mente ne ha. Nessun dubbio che la mente possieda l'idea della sostanza, dell'attributo e del modo. Ma nell'idea non c'è solo pura idealità, c'è anche corrispondenza all'oggetto. Di fatto, se all'idea nulla corrispondesse ed essa dunque fosse un mero pensato della mente, tutte le idee si equivarrebbero, giacché tutte sarebbero egualmente pensabili”. Dunque, “il realismo cartesiano -ha commentato Padre Cavalcoli- non è originario, ma derivato. Pertanto, che le cose esistano in sé e fuori di noi, per Cartesio non è evidente, ma va dimostrato. Il dato originario, ciò che è evidente per lui, è l'idea e fondamentalmente il cogito. Lo stesso uomo è ridotto a pensiero in atto”

Padre Tyn ha però dimostrato come, se ciò fosse vero, non ci potrebbero più essere differenze tra le cose, perché sarebbero caratterizzate solamente dalla loro pensabilità, mentre la differenza proverebbe solo dal reale. Anche l'Io di Fichte è in fondo il cogito cartesiano. Esso pone il Non-Io in luogo della cosa-in-sé. Cartesio, insomma, ha posto le premesse, gettato i semi, da cui derivarono il panteismo di Spinoza ed Hegel -in cui l'uomo è assorbito in Dio- e, da esso, l'ateismo di Marx -in cui Dio si dissolve nell'uomo-, essendo ogni essere assoluto, quindi chiuso rispetto a Dio. Panteismo ed ateismo poi condannati dalla Chiesa, soprattutto col Concilio Vaticano I: “Soltanto Dio è il Suo essere -spiega Padre Cavalcoli- Lo dice San Tommaso in base a Es 3,14: 'Io sono Colui che è'. Il meccanismo di fondo dell'idealismo è la pretesa dell'uomo, che vuol sostituirsi a Dio con avidità empia e blasfema”. C'è una continuità dunque da Cartesio a Kant, poi Fichte, Schelling, Hegel fino a Nietzsche e Marx con una progressiva esaltazione di un soggettivismo che si fa immanentismo, nonché con l'autodivinizzazione dell'Io umano, che non sente più alcuna necessità di un Dio trascendente. L'esperienza raggiungerebbe la cosa, ma non l'intelletto speculativo. Esso non ne avrebbe peraltro bisogno con l'a priori, raggiungendo la forma dell'oggetto, che non è più la cosa, ma il fenomeno. Il conoscere vien pertanto divelto dall'essere.




D'estremo interesse ed attualità anche l'intervento di Padre Serafino M. Lanzetta dei Frati dell'Immacolata. Intervento, incentrato sulla critica di Padre Tyn all'impianto etico-esistenzialista del teologo gesuita Karl Rahner, perito al Concilio Vaticano II del Cardinale di Vienna, König. 

“Padre Tyn gli rimprovera d'aver elaborato una nuova forma di etica della situazione –ha spiegato l'illustre relatore-. Per Rahner la vita morale di un uomo non potrebbe ridursi a dedurre dalle norme universali e naturali, quindi divine, i principii dell'agire particolare esistenziale nel determinato momento, in cui mi trovo ad agire, ciò che è il principio dell'esistenzialismo. La norma non riuscirebbe in ogni caso a darmi un indirizzo concreto, poiché il caso particolare sarebbe comunque e sempre più problematico”

Rahner però non ha come riferimento il tomismo classico, bensì Heidegger, che rappresenta a sua volta, lo sviluppo concreto ed omogeneo della concezione cartesiano-kantiana-hegeliana, già presentata. “L'uomo è un esserci, che si pone il problema dell'essere”, ha aggiunto Padre Lanzetta. Ma, secondo San Tommaso, non potrei pormi tale questione, senza aver prima conosciuto qualcosa che abbia l'essere, quindi un ente finito, fatto di forma e materia, per ascendere da qui fino a Colui che è l'essere. Invece, in Rahner, l'uomo viene concepito come individuo, come esistente e non come persona, il che porta ad escludere un'essenza incarnata in un'esistenza, facendo viceversa perno sull'aspetto dell'uomo come atto di essere. L'essenza si confonde quindi con l'esistenza. Ma, se l'uomo non è più capace di risalire all'essere partendo dagli enti, necessariamente ciò che è universale nell'uomo viene totalmente assorbito in ciò che è particolare, in questo uomo: 

“Quel che più dà verità al mio esserci nel mondo sarebbe la morte -ha spiegato il relatore-. Questo, tradotto in termini teologici, porta Rahner a ritenere che la legge universale possa dare un'indicazione, ma non possa dire la verità del mio agire, verità affidata alla libertà che si confronta con il caso particolare. Quest'etica, purtroppo presentata a volte anche nelle prediche, giunge a dire che, in effetti, sarebbero meramente orientativi anche i dieci Comandamenti di Dio, semplici norme insomma, astratte ed incapaci di soddisfare la mia esigenza concreta in un determinato momento, rispetto al quale sarebbe la mia libertà a doversi orientare. Questa è l'etica della situazione, che poi diventa anche un'opzione morale fondamentale”. Rahner non vuole negare l'oggettività della legge morale naturale e dei Comandamenti divini, quindi, ma pone le premesse nei fatti, affinché si arrivi appunto a quest'etica della situazione: “In questo modo cade la moralità dei nostri singoli atti, non si peccherebbe mai, in quanto si sarebbe comunque 'orientati' in qualche modo a Dio, pur dovendo fare i conti con la propria esistenzialità. Crolla l'impianto soprannaturale -avverte Padre Lanzetta- Morale per quest’etica è il mio orientamento universale a Dio. Sono cattolico? Bene. Ma poi cosa devo fare, in quest'ottica, non me lo dovrebbero dire la Chiesa e il Catechismo, bensì la mia coscienza, metro ultimo del mio agire morale. Oggi è questo il pensiero prevalente. In effetti, la coscienza mi deve orientare, però non è il giudice definitivo, non si sostituisce alla legge di Dio. E’ -direbbe San Bonaventura, citato da Giovanni Paolo II nella 'Veritatis Splendor'- l'«araldo del gran Re», è il giudizio morale sul bene che ho davanti e sul male che devo rigettare. Non crea il bene, lo indica. E' la libertà, che mi muove a scegliere il bene”. Quest'etica esistenziale formale porterebbe a conseguenze devastanti, condurrebbe a giustificare il male con il bene. Come nel caso dell'aborto, esempio citato da Padre Lanzetta: “Così facendo, stravolgiamo la stessa morale, rendendola soggettivismo. Come accade ai nostri giorni, in cui ognuno ha una morale propria. E' il relativismo etico”. Rahner pone il dubbio come metodo di ricerca: “Invece devo partire dalla verità, dalla realtà -ha affermato l'illustre relatore-. Padre Tyn critica Rahner, dicendo che in questo modo si afferma l'agnosticismo, per il quale io sarei incapace di conoscere la verità oggettiva -come Kant-, postulandola come un'esigenza del mio agire morale, contingente e necessariamente applicabile ai casi della mia vita. L'io diventa la norma definitiva dell'agire morale e ciò porta in definitiva all'antropolatria, all'adorazione dell'uomo ed alla negazione di Dio, allo scetticismo nei confronti della Sua capacità salvifica”

Questa morale privilegia l'uomo come spirito, come libertà contro la verità. La libertà diventa in qualche modo, quindi, creatrice della norma morale. Un’etica, questa, riprovata dal Magistero, in particolare da Pio XII nel 1952, ed ancora condannata da Giovanni Paolo II nella Veritatis Splendor, nn.55-56. Non è quindi un'etica cattolica: 

“Il rischio del soggettivismo etico -ha proseguito Padre Lanzetta- è quello di creare una società, in cui la morale è dettata dai bisogni individuali; invece con la Dottrina della Chiesa è dettata dalla necessità di adeguare la mia vita, la mia libertà alla norma di Dio, alla legge eterna, naturale e positiva, datami da Dio. E' un mondo autenticamente umano, in cui tutti si conformano alla verità e quindi tutti vivono la pace, non essendovi ragioni di sopraffare in base alle rispettive esigenze personali”

Un chiaro insegnamento, che ha rivelato l’utilità del convegno promosso non solo per conoscere l’estrema attualità del pensiero di Padre Tyn e non solo per mettere in guardia dai rischi del relativismo contemporaneo, ma anche per fornire indicazioni, per suggerire possibili percorsi, che aiutino ad uscire dalle sabbie mobili dell’errore, per incamminarsi invece sul percorso tracciato da Dio. Ciò che il pubblico presente all’incontro ha confermato non solo con l’attenzione con cui ha seguito gli interventi dei due illustri relatori, ma anche con le domande, che hanno poi acceso un interessantissimo dibattito.

Mauro Faverzani

mercoledì 22 agosto 2012

Vitalità del cattolicesimo fiorentino. La rivista "Fides Catholica"



(da Riscossa Cristiana: una recensione dell'ultimo numero di Fides Catholica). 
Nel solco del Frontespizio, L'Ultima e Controrivoluzione, le riviste che hanno impresso un segno indelebile nella storia del Novecento tradizionalista, si pubblica in Firenze, a cura dell'Istituto Teologico Immacolata Mediatrice dei Francescani dell'Immacolata, il semestrale Fides Catholica.
Il più recente fascicolo della bella rivista fiorentina propone interessanti testi dei padri Serafino M. Lanzetta (Editoriale e La valutazione del Concilio Vaticano II in Joseph Ratzinger poi Benedetto XVI), Serafino Tognetti (Don Divo Barsotti e il Concilio Vaticano II) e Luca Genovese (La dottrina luterana vista da San Lorenzo da Brindisi), scritti che offrono al lettore indicazioni utili a una fedele e rigorosa lettura dell'ermeneutica della continuità.
Nell'Editoriale, dopo aver citato le tesi di un seguace di Teilhard De Chardin secondo il quale la formazione religiosa non dovrebbe concentrarsi sui concetti ma orientarsi dinamicamente verso il progresso, padre Lanzetta dimostra che la teologia cattolica è insidiata da un'ondivaga passione per l'agire, attitudine che tradisce la dipendenza della nuova teologia dal moderno soggettivismo.
Poiché nella teologia postconciliare "la prassi ha prevalso sulla Fede", ai cattolici contemporanei incombe l'obbligo di "coniugare Fede e ragione, Fede e dogma, dunque fede e annuncio. Una catechesi su Cristo e sulla Fede non può semplicemente abbandonare le formule della Fede, il Catechismo come unità dogmatica, morale e spirituale, per fare spazio all'approccio più discorsivo della Fede solo esperenziale di Cristo. Si finisce purtroppo per credere in un altro Gesù, quello dei nostri desideri, quello che ci insegnerà una verità più consona all'oggi e alle mode del tempo".
Nel convincente saggio sul Vaticano II padre Lanzetta rammenta l'amara riflessione di Joseph Ratzinger sull'infelice esperienza di Teresa d'Avila in un convento d'avanguardia, "dove venivano interpretate con uno spirito largo le regole della clausura" e il coerente giudizio secondo cui la conversione della carmelitana venne quando lasciò da parte l'aggiornamento.
L'allontanamento della Santa d'Avila dalla disciplina mondanizzata introduce la corretta lettura del  Vaticano II. Secondo Ratzinger: "I fedeli ai quali parliamo si domandano: il Concilio non ha preso la via inversa? Non vuole avere a che fare con la conversione per andare verso la perversione della Chiesa? Né l'una né l'altra di queste domande possono essere puramente e semplicemente scartate".
Padre Lanzetta sostiene risolutamente che nel Vaticano II la Chiesa visse un momento di grande timidezza davanti al mondo: "C'era uno spirito del Concilio con una tendenza masochista".
Eletto pontefice, Ratzinger ha peraltro affermato la perniciosità di un'ermeneutica che pone la Chiesa in conflitto con se stessa, "contro la sua storia e trasforma il Concilio in una Costituente (questa era un'idea molto cara a Giuseppe Dossetti, iniziatore della Scuola di Bologna)". Scuola che ha coltivato l'abbagliante illusione che nel Vaticano II contempla il nuovo inizio e una nuova pentecoste del cattolicesimo.
In conclusione "non vi è opera di difesa [del Vaticano II] più benemerita che mostrarne la sua corretta interpretazione alla luce di tutta la Dottrina cattolica, ovvero la bimillenaria tradizione della Chiesa".
Padre Tognetti propone la rilettura dei duri commenti al Vaticano II scritti da don Divo Barsotti nel tormentato biennio 1967-1968. Un giudizio del mistico fiorentino riassume le cause dell'angoscia che opprimeva gli spettatori delle acrobazie verbali messe in scena dai teologi ubriacati dalle novità striscianti fra le righe del concilio: "Certi adattamenti non li capisco, certi rinnovamenti mi sembra siano solo tradimenti. Non riesco a capire chi sia Dio per tanti teologi, per tanti scrittori, per tanti preti e religiosi. Non riesco a credere che quello che fanno, che quello che dicono, che quello che scrivono derivi davvero da una fede vissuta, da una vita religiosa profonda, dalla preghiera".
Opportuna è infine la rivisitazione, proposta da padre Luca Genovese, degli scritti di uno strenuo contestatore della teologia, il cappuccino San Lorenzo da Brindisi (+1619), elevato al rango di Dottore della Chiesa da Giovanni XXIII nel 1959. La rievocazione di padre Genovese mostra la simultaneità del progetto di convocare un Concilio con l'alto riconoscimento della dottrina di un religioso illuminato e intransigente che ha segnato i limiti dell'ecumenismo.
Le incerte espressioni che baluginano nei documenti del Vaticano II, ad esempio il giudizio sulla sussistenza della vera fede nelle sette ereticali, si devono leggere pertanto nella luce della rigorosa ortodossia: "Poiché la setta dei Luterani non è stata fondata sopra questa pietra non può appartenere alla Chiesa di Cristo e neppure a Cristo ma è rivolta solo all'anticristo". Condiviso e apprezzato dal papa che ha convocato il Vaticano II, il giudizio di San Lorenzo indica il coerente orientamento dell'ermeneutica della continuità nella delicata e controversa questione dell'ecumenismo.
Merita una speciale citazione il saggio che lo storico Giuseppe Brienza ha dedicato a Fausto Belfiori, un fra i più coraggiosi testimoni della resistenza cattolica all'eversione teologica e politica nel xx secolo.

Piero Vassallo