domenica 25 dicembre 2011

L’Europa, l’Italia, la crisi economica e la sfida del cristianesimo


È ormai divenuta famosa quella frase che Massimo d’Azeglio pronunciò all’indomani dell’unificazione d’Italia: «Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani». Sì, famosa perché la si ode ora di nuovo anche se al contrario: «Abbiamo fatto gli italiani (o pensavamo d’averli fatti), ora dobbiamo fare l’Italia». La rifacciamo. Stiamo sentendo, in questi ultimi giorni, in modo sempre più insistente, degli slogan, che recitano pressappoco proprio come quello: “Salviamo l’Italia”, “Salviamo l’Europa”, “Salviamo l’euro” (sic!). Salviamo l’euro o piuttosto la gente che con quell’euro vive? Quando le ideologie pullulano non possiamo che sentire slogan, che poi si incrociano, ma che sono sempre gli stessi. Il problema, allora come adesso, non sono gli italiani, che già c’erano: pressappoco dall’incarnazione di Dio in questo mondo e con tutto il retaggio culturale della romanità latina, ma il tentativo di rifondare una nazione senza la sua identità cristiana, senza i valori irrinunciabili, che fanno di un popolo non una landa solitaria di individui massificati dai soldi, ma un gruppo di persone che si riconosce in una cultura perenne ed immutabile nei suoi principi-primi.

È sotto i nostri occhi la crisi economica nella quale versa la nostra Italia e l’Europa, la quale, però, a differenza degli allarmismi che gridano da un capo all’altro, non è essenzialmente e primariamente una crisi economica o di soldi, come la si fa passare. L’economia non sono i soldi, anche se restano lo strumento di scambio principale. Perciò non si guarirà mai dalla malattia propinando la stessa malattia. I soldi non guariscono i soldi, perché nulla è causa di se stesso. Solo Dio è per se stesso. La crisi che è sotto i nostri occhi è molto più profonda; è come la punta di una massa di ghiaccio che affonda nella acque ormai intorbiditesi del nostro modo occidentale. L’economia crolla perché mancano i valori stabili ed imperituri che la sostengono, che sostengono cioè la vita dei cittadini, i quali sono i primi attori in un libero mercato, attori nella produzione, nello scambio dei beni, negli investimenti. La vita dell’uomo non ha più un valore, e di conseguenza, ciò che da essa promana, o come si vuole oggi, ciò che essa produce, non ha valore.

Un’economia regola e studia il potere di produrre beni e servizi a favore dei singoli e per la società. Di questa il PIL è un indice di crescita, di arresto o addirittura di spaventoso calo, come il nostro. Ma lo stesso PIL non è una semplice osservazione e un calcolo del denaro degli investimenti, ma una somma di più fattori che generano l’incremento o il suo contrario. E tra questi è di notevole importanza la scelta della famiglia, il suo consumo e il suo potere di investimento. Come potrebbe crescere però questo prodotto interno di una nazione quando la famiglia va a scomparire? Quando alla famiglia si sostituisce un modello “fai da te” di temporanea sistemazione, dettato spesso da esigenze effimere, con contratti a breve durata (si pensi alla convivenza come alternativa al matrimonio), o se non addirittura unioni che solo inneggiano all’orgoglio della diversità? Ma, se andiamo ancora più a fondo, c’è un altro problema più radicale, indice di una crisi che farà azzerare sempre di più il potere d’investimento di una nazione: come può crescere il PIL se si elimina il fondamento di ogni possibile crescita economica, perché fondamento assoluto di ogni bene, che è la vita umana? Se manca la persona o questa non ha una sua dignità inviolabile, come si incrementa il reddito? Se l’Italia si autocondanna a dover importare manodopera dall’estero, perché i suoi figli stanno morendo e più non ne nascono, come potrà superare il deficit nazionale? Con che cosa, con chi si supera la crisi? Con quali italiani? Cosa diventerà l’Italia? Questi problemi però non sembrano interessare i nostri rappresentanti politici e tecnici.

È sotto i nostri occhi il predominio della materia, che però quando è ragione di sé diventa massificatrice della dissoluzione di ogni bene. Il materialismo post-cristiano, vuoi rigurgito di un comunismo accentratore, vuoi di un capitalismo selvaggio, è la causa di questa crisi. Il materialismo è andato in crisi, si frantuma, ma l’Italia non è capace di opporvi il vero potere, i beni morali eterni. Così i suoi ultimi rigurgiti sembrano ingoiarci.

La crisi che vive l’Italia e l’Europa, infatti, non è una crisi di soldi, è una crisi esistenziale e di valori, che in verità possono fondare in modo stabile l’assetto della convivenza sociale; valori che il nostro Pontefice definisce non-negoziabili. Dobbiamo rammentarli, perché c’è sempre il rischio che qualche uomo di Chiesa ci dica che, in fondo, ostruiscono il vero dibattito sociale nel rispetto delle diversità, e perciò sarebbe meglio tralasciarli: la vita inviolabile, dall’inizio al suo naturale tramonto, la pari dignità tra l’uomo e la donna, la precedenza della persona rispetto al capitale e all’economia, il principio della sussidiarietà, in cui lo Stato è al servizio della famiglia e mai viceversa, (altrimenti si cade, come già avviene, nello statalismo), il primato della famiglia, fondata sulla verità stabile e feconda del matrimonio tra un uomo e una donna, la libera scelta dei genitori dell’educazione culturale da impartire ai lori figli, senza discriminazioni statali. Solo così la società opera in vista della persona, e quindi di sé, e non in vista del denaro; solo così la persona diventa un nesso indispensabile tra la famiglia e la società e quindi lo Stato. La pluralità culturale viene dopo i valori fondamentali. Prima questi, e poi tutto il resto. Altrimenti non c’è umanità.

L’economia è un bene al servizio della persona, della famiglia, e quindi dello Stato. Giammai dello Stato, quindi della famiglia, e solo alla fine della persona. La nostra Italia, che ha smarrito la sua identità cristiana, come pure l’Europa perdendo di vista le sue radici cristiane, ha finito con l’invertire i beni: al primo posto c’è la ricchezza e la produzione e all’ultimo la vita e la famiglia. Purtroppo, questo capitalismo disumano è destinato ad infrangersi, come è avvenuto, sullo scoglio di una verità, la verità iscritta nell’uomo e nella sua coscienza: se manca la vita e l’uomo, l’economia crolla, non ha un fondamento, sarà semplicemente basata sui soldi, che però crollano al primo crack finanziario di turno, o quando i grandi stabiliscono che è giunta la fine. Anche i manovratori dell’economia mondiale, i poteri forti, sanno bene che non bastano i soldi per sollevare una nazione (o per seppellirla). Per questo diventano spesso ideologi di un modo di vivere, di uno stile di pensiero, diventano paladini di una cultura di morte, con la quale edificare una nuova umanità senza l’identità cristiana.

In realtà, solo se al centro c’è il valore intangibile della creatura umana, e dobbiamo aggiungere, fatta ad immagine di Dio, l’economia si solleva, la persona potrà operare in vista dell’incremento dei beni e dei servizi. I beni devono essere subordinati alla persona e la persona deve accogliere quella legge morale che fa dell’uomo una creatura di Dio, e delle persone un fine e mai un mezzo. L’economia è un mezzo e non il fine. Un mezzo per la vita dell’uomo. Dunque, è semplicemente assurdo pretendere di salvare l’euro o l’Italia. Un sano realismo vuole che invece salviamo gli italiani, le famiglie più povere, che da queste manovre sono le più colpite.

Noi invece andiam fieri di aver edificato un’Europa sull’euro, che però sta crollando facendo crollare anche l’Europa. La soluzione al debito sovrano ci sarebbe e dovrebbe essere concepita proprio nell’ottica di una vera Europa unita, in cui tutte le nazioni-membri partecipano ai rischi e ai vantaggi degli alleati, con una banca europea che funga da prestatore di ultima istanza. Si richiede collaborazione, fraternità, detta in modo cristiano e non giacobino. Eppure, questa soluzione è lontana dal panorama europeo. Si preferisce vivere in Europa ma in modo individualistico, conservando ognuno il proprio portafogli. Si vive, appunto, in un’Europa dominata dall’egoismo. L’egoismo però non è un problema economico ma precedente, riguarda la vita dei cittadini, di ogni singola persona, ed è sintomo di una radicalizzazione del peccato originale, i cui effetti non sono smorzati dai rimedi della grazia di Dio: Dio e la sua grazia sono stati allontanati. Anche il consumismo dei nostri italiani è sintomo di una deficienza culturale: si investe su beni secondari e caduchi, si spreca, mentre i beni di prima necessità languono. Il problema vero è che la vita stessa è considerata dagli italiani e dagli europei un bene di consumo, disponibile secondo le proprie esigenze. Sono purtroppo tanti gli italiani e gli europei che mancano all’appello della vita, il cui sangue innocente è un grido sordo ma persistente, che incombe su di noi, e ci immiserisce ancor di più. Se non c’è la vita non c’è nient’altro. Neppure i soldi. Col rischio però che se il problema sono solo i soldi, quando questi crollano, crolla davvero tutto. Proprio come sta accadendo.

In questo momento così ingarbugliato della nostra storia però spetta a noi, ai cristiani, di dire la verità sull’economia, sul debito sovrano, sull’Europa, sull’Italia. L’Europa è in crisi perché ha smarrito se stessa, la sua identità evangelica, che l’ha plasmata intimamente, radicando ogni valore e ogni bene dell’uomo non su una piattaforma economica o politica di turno, ma sulla persona umana inviolabile, sempre il fine di ogni scelta e finalmente su Dio, la Ragione di tutto, il senso della vita e la meta dell’uomo.

La crisi che è sotto i nostri occhi, in ultima analisi, è soprattutto una crisi di fede, un’assenza di Dio che è l’unica vera certezza. Se manca Dio, se gli europei, e gli italiani in particolare, diventano atei o indifferenti al problema religioso, non solo diventano più poveri perché destabilizzano il meccanismo umano, fino ad arrivare ad auto-comminarsi la morte con il gravissimo delitto dell’aborto e dell’eutanasia, fino ad autodistruggere autodistruggendosi, ma aprono pure la società umana al rischio di smarrirsi a sorsi col cadere in un sincretismo valoriale, in cui vigerà solo la legge del più forte. Non ci sarà più l’altruismo e la comunione, che invece dovrebbe animare la Comunità europea, se vuole essere una comunità. Ancora, come però potrebbe esserci comunione tra gli Stati nazionali se rinneghiamo la nostra fede e la verità di Dio somma comunione, uno e trino? Come potremmo essere nuovamente veri uomini senza Colui che ci ha insegnato chi è l’uomo perché ha assunto un volto umano, diventando uomo Lui stesso? Il cristianesimo che ha fatto l’Europa ora è chiamato a rifondarla. Questo è il momento della Chiesa, della sua predicazione al mondo di oggi. Bisogna prendere il largo nel mare di questo mondo che affoga. C’è bisogno di Cristo, del Dio fattosi uomo per imparare chi è l’uomo, cos’è la famiglia, perché l’economia è sempre al servizio dell’uomo e della famiglia e mai viceversa. Bisogna insegnare di nuovo all’uomo ad essere uomo. Solo però colui che è Dio fattosi uomo ha una parola vera e definitiva. Non stiamo a guardare: è in gioco il futuro del mondo e il futuro della Chiesa nel mondo.


p. Serafino M. Lanzetta, FI